Fino a qualche decennio fa fare il bucato era tutta un'altra storia. È inutile dire che non esistevano lavatrici, questo è ovvio. Ma la differenza non consisteva solo in questo. Fare il bucato a mano era un rituale tradizionale davvero affascinante, che si tinge ai nostri occhi di tinte quasi folkloristiche. Oggi è per noi fascino e folklore... un cerimoniale famigliare che oggi verrebbe inequivocabilmente inserito nella lista dei "rimedi della nonna", ma che raccontato da chi l'ha vissuto ricorda a tutti noi la fatica e lo sforzo che significava un tempo essere madre di famiglia.
Se l'uomo dell'epoca era forte e dedito ai lavori nei campi, la donna non era certo da meno. Mia nonna racconta, ad esempio, che nemmeno durante la gravidanza era esonerata dalle fatiche quotidiane. Incinta di 8/9 mesi doveva alzarsi la mattina e andare a mungere le vacche, così come non era esonerata da qualunque altra faccenda domestica... tra cui anche quella di fare il bucato!
Mia nonna racconta che per lavare i panni non bastava usare il sapone fatto in casa, bisognava, difatti, ancor prima sbiancarli e disinfettarli.
L'operazione, quindi, richiedeva diverse fasi e, considerate le dimensioni di una famiglia media dell'epoca, fare il bucato non era di certo un gioco da ragazzi.
LU COFANU
L'operazione principale era
fare lu cofanu. Cofano (se cosi vogliamo italianizzare la parola dialettale
Cofanu) prende il nome dal
recipiente di terracotta che veniva utilizzato per la prima fase di lavaggio e disinfezione del bucato. In questa fase veniva utilizzata della
cenere vergine, ossia una sorta di cenere di miglior qualità poiché proveniente dalla combustione del legno degli ulivi.
Vi chiederete cosa c'entra la cenere con il bucato...
La cenere, unita all'acqua calda, era proprio il materiale usato per disinfettare le robe: un materiale di scarto, quindi facile da trovare e a costo zero.
Ecco il procedimento:
Si inseriva un coccio o un piattino all’interno del foro del
cofanu (chiamato in
griko limbùna), affinchè l’acqua uscisse piano piano e per impedire che la biancheria lo tappasse. Poi si sistemavano le robe colorate in basso e le bianche sopra.
Su di esse veniva stesa una tovaglia bianca, su cui veniva poi cosparsa la cenere: con una brocca (
kantarèddi) si versava sulla cenere dapprima dell'acqua tiepida, poi dell'acqua sempre più calda.
L’acqua usciva piano piano dal buco del
limbùna, questa si raccoglieva, si riscaldava di nuovo e si riversava un’altra volta, affinchè la biancheria risultasse, alla fine del procedimento, più bianca e profumata.
Non si sprecava nulla. L'acqua che fuoriusciva (chiamata
lissìa, lisciva), veniva utilizzata poi per lavare gli abiti più scuri.
Le donne, con la lisciva, si lavavano anche i capelli.
_________________________________
Etichette: Costumi e Società